KYRO ART GALLERY inaugura sabato 7 luglio alle ore 19:00 la mostra personale dell’artista albanese ANILA RUBIKU. Il progetto, dal titolo The Consequences of Love, è curato da Gianluca Marziani, direttore di Palazzo Collicola Arti Visive a Spoleto.
caténa s. f. [lat. catēna]. – 1. a. Mezzo di collegamento e di unione fatto di più anelli di ferro o d’altro metallo passati l’uno dentro l’altro, che serve per tener saldamente legate cose, animali, persone, per tener sospesi oggetti pesanti, o per altri usi…
L’intero progetto ruota attorno al tema della catena, declinata per variabili figurative che orchestrano i contenuti dietro una parola dai molteplici significati. Sulle pareti ritroviamo opere su carta con la tecnica dell’acquerello e della serigrafia, due modelli che tatuano la cellulosa con densità tattile e aura metafisica. Una catena dal forte valore simbolico, sorta di paradigma aperto che nel percorso si unisce ad alcune frasi, tratte da canzoni in cui spicca il tema emotivo della catena. Per concludere la narrazione d’allestimento, saranno presenti anche alcune sculture in marmo per ampliare la visuale sul piano plastico, offrendo teatralità corporea alla conduzione dell’artista.
Scrive Gianluca Marziani nel catalogo: “… nel vocabolario Treccani si parla di ‘collegamento’ e ‘unione’, due parole che espongono una sana neutralità, un approccio senza la costrizione che di solito immaginiamo quando si discorre di catene. Il nostro linguaggio si plasma sullo spirito del tempo, dando un peso e un volume instabile alle parole, cambiandone talvolta l’aria e l’aura. Gli eventi modellano l’abito dei termini lessicali, ne creano apparenze che aderiscono ad una coscienza sociale. Per questo funziona il ribaltamento visivo della Rubiku, l’apertura di senso che non impone la parzialità della costrizione ma lascia spazio alle connessioni vitali, alle unioni che trasmettono energia, memoria, cultura…” Alcune catene richiamano la natura, altre l’atmosfera impalpabile, altre ancora sembrano intestino, carne polposa, tessuto adiposo o muscolo pulsante. Il metallo duro si trasforma qui in oggetto tra David Cronenberg e Shinya Tsukamoto, le leghe riconquistano la natura minerale e l’oggetto cresce nella dimensione del soggetto. Metafora e allegoria intrecciano i propri ideali nel rumore bianco delle catene metafisiche di Anila Rubiku. Macromondo e microcosmo attraversano l’archetipo della catena, animali e piante sono lì, nascosti ma plausibili, a stuzzicare le nostre interpretazioni, si aggiungano le frasi d’impatto che moltiplicano le aperture di senso… finché ogni anello si trasforma in un singolo individuo, una storia da raccontare, un mondo da scoprire, un cammino da percorrere: in nome della riconquista, della rivelazione laica, della luce che indica, dell’amore che guida la riparazione dei viventi.
Esiste sempre un suono ideale che attraversa l’opera, un flusso che plasma melodia e ritmo a seconda del progetto, del suo approccio iconico, della natura concettuale che quel lavoro esprime. Le catene di Anila la musica la portano nel DNA, richiamando brani di estrazione molteplice, sempre sul tema ampio della “catena” come metafora sentimentale, grimaldello delle pene e delle gioie che l’amore porta con sé. La catena è, da sempre, un tema che appassiona il cantautorato e il pop in genere, dilagando nei vari generi del rock e delle culture indie. “Chains” ricorda subito qualche hit storica, esistono strofe e ritornelli che hanno seguìto gli andamenti della nostra adolescenza, delle vacanze trascorse, delle storie vissute. Ma le catene sono anche nella Lirica, nei temi della Classica e del Jazz, dovunque si rintracci un legame tra il pentagramma e la vita reale.
Anila Rubiku agisce sulla moltiplicazione di un modulo/idea per determinare una proliferazione di senso, un’insistenza per ricreare narrazione attraverso le variabili della matrice, fino al cortocircuito che apre la sinossi alla complessità etica del messaggio. Un percorso complesso in cui il modulo dà omogeneità ad un percorso ben congegnato, ben predisposto, ben realizzato; le opere somatizzano la densità del tema “politico” ma non abbandonano la vena estetica, la raffinatezza, la levità di un’esecuzione metodica e armoniosa. Il congegno formale agisce come detonatore etico che conduce ad una conoscenza e poi ad una riflessione, secondo codici sensibili che sono la grammatica viva dell’artista. La sintassi dell’opera è ciò che porta le informazioni verso l’analisi testuale: a quel punto sarà il fruitore a stabilire la propria riflessione, spingendo la trama dove la cronaca di solito non arriva ma dove l’occhio interiore viaggia in profondità.